Territorio e Tradizioni

Il territorio oggi compreso fra le province della Spezia, Massa Carrara e gran parte di quella di Lucca, oltre che essere stato culla della civiltà ligure degli Apuani nella pre-protostoria, è rimasto culturalmente omogeneo anche nei secoli che seguirono la conquista romana e nel medioevo.
Nella cultura materiale e nelle tradizioni popolari, ancora vive in Val di Vara, Val di Magra, nelle Cinque Terre, in Versilia e nell’alta e media Valle del Serchio, è possibile ancora oggi cogliere degli elementi comuni che legano fra loro vari angoli delle nostre vallate, differenziando quest’area da aree vicine (Tigullio, Lucchesia) che gia da qualche secolo hanno avuto molta influenza su di essa. Ciò è molto interessante perché è la dimostrazione dell’esistenza di un “substrato” comune che ha resistito sia alle pesanti influenze esterne (toscana, genovese, emiliana), sia agli assalti della modernità.
Ma prendiamo in esame alcuni di questi aspetti comuni a questo territorio…

La tradizione del “maggio”
Il maggio è una tradizione particolarmente radicata in Garfagnana, Lunigiana storica e Versilia. Deriva dall’usanza, forse di origine pagana, di festeggiare l’arrivo della primavera con canti, balli e rappresentazioni. Il maggio può essere “lirico” o “drammatico” ed in entrambi i casi prevede l’utilizzo di costumi che rimandano al medioevo dei poemi cavallereschi o alla vita dei Santi.
Il maggio sembrerebbe essere originario dell’area lunigiana-garfagnino-versiliese, in quanto diversi elementi portano a pensare che da qui sia stato “esportato” nell’Appennino emiliano (e nel versante padano dell’Appennino pistoiese) e nella Piana di Lucca. Al di fuori di queste zone esistono tradizioni che spesso vengono accomunate al maggio, ma che in realtà hanno ben poco, se non niente, a che fare con esso: se in Garfagnana, Media Valle del Serchio e Versilia il maggio è estremamente radicato, nella Toscana vera e propria (eccettuata la piana lucchese e Buti, dove pensiamo che il maggio sia arrivato a seguito di immigrati garfagnini e versiliesi), ad esempio, esistono forme completamente diverse di teatro popolare; se a Varese Ligure e in tutta la Val di Vara il maggio fa parte integrante della tradizione, nel Tigullio, in Val Graveglia e nel Genovesato esso non è ricordato nemmeno dai più anziani intervistati da etnografi e ricercatori vari. Ancora oggi è possibile assistere alla rappresentazione delmaggio in varie zone del territorio, grazie all’impegno di numerose associazioni volte alla riscoperta delle tradizioni.

Elementi in comune in dialetti apparentemente diversi
Oggi nella nostra zona si parlano soprattutto dialetti di stampo ligure, ligure-emiliano e tosco-emiliano.
Tuttavia anche dove l’influsso del lucchese è più forte (Versilia meridionale, Media Valle del Serchio) è possibile cogliere elementi tipici dei dialetti settentrionali come la sonorizzazione (pogo invece di “poco”) o la pronuncia “chiusa” delle vocali. Uno dei più grandi studiosi di dialettologia italiana, Clemente Merlo, negli anni ’20 notava come a partire da Camaiore e Borgo a Mozzano scomparisse la tipica pronuncia aspirata toscana (poho invece di “poco”), molto vitale invece a Lucca e Viareggio, in favore della precedentemente citata sonorizzazione tipica dei dialetti dell’Italia Settentrionale.
Procedendo verso Nord, in Garfagnana e Alta Versilia, le parlate perdono molte delle caratteristiche toscane, per arrivare a Massa, Carrara, Sarzana, La Spezia, in Val di Vara e in Val di Magra, dove i dialetti sono chiaramente di tipo settentrionale. Nella Lunigiana massese su parlate locali si avverte un certo influsso emiliano, mentre nella Lunigiana spezzina si fa notare, specialmente in alta Val di Vara, l’influsso del genovese.

Questo apparente mosaico di parlate cela in realtà un substrato comune, il quale si manifesta, ad esempio in particolari pronunce (fra cui quelle di tipo “cacuminale”), che interessavano alla metà del ‘900 gran parte dell’area garfagnino-lunigianese. Indizi toponomastici ed archivistici sembrerebbero indicare che anche in Versilia, alta Val di Vara e media Valle del Serchio vi fossero in passato pronunce simili. Una cosa molto importante è poi il fatto che la denominazione di alcune piccole piante e di oggetti e arnesi legati alla civiltà rurale (categorie di nomi che secondo gli studiosi affondano le proprie radici piuttosto indietro nel tempo), siano gli stessi in diverse zone del territorio, anche nelle zone più esposte ad influssi esterni.
L’esistenza quindi di un substrato comune su cui si sono innestate influenze di diversa provenienza è provata da più fattori.

L’edilizia rurale del territorio
Nei trattati sull’architettura rurale di Toscana e Liguria, gli studiosi sottolineano come la Lunigiana, la Versilia e la Garfagnana, per quanto riguarda l’edilizia popolare, si differenzino nettamente dalla Toscana vera e propria (ad esempio la Piana di Lucca, il pisano o il pistoiese) ed in misura minore anche dall’area genovese.
Infatti a partire dalla media Valle del Serchio e dalle colline a Nord di Montramito (Massarosa), scompaiono totalmente i tipi edilizi delle campagne lucchesi (le così dette “corti”), pisane, pistoiese ecc., per lasciare posto ad un’architettura che ha molti punti in comune con quella ligure e in parte con quella della montagna emiliana: ad esempio la copertura dei tetti con le lastre di pietra, l’esistenza di un fienile-stalla staccato dall’abitazione o la presenza di un “criptoportico” che sorregge una terrazza-aia che può assumere diverse fisionomie (ad esempio in Garfagnana è chiusa da una sorta di rustico loggiato, mentre nelle valli del Magra e del Vara è scoperta), ma che in passato doveva caratterizzare anche tutta la zona delle Alpi Apuane, dato che in alcuni documenti se ne attesta la presenza a Fibbiano Montanino (Camaiore). Altro tratto in comune era poi che il camino nelle case di Val di Magra, Val di Vara e dell’alta Garfagnana era una semplice piattaforma sul pavimento al centro della stanza. Altro tratto caratteristico è poi la tipologia dei centri abitati: nelle vallate del Magra, del Vara e del Serchio e sulla costa fra Montramito (Massarosa, LU) e Montaretto (Bonassola, SP) i centri sono quasi tutti borghi accentrati in posizione elevata, mentre nella campagna del Tigullio e del Chiavarese prevale l’insediamento per casolari sparsi, così come nelle colline lucchesi e pisane, dove spesso i centri abitati sono posti alla base dei rilievi e non sulle loro pendici.

L’economia agro-silvo-pastorale e i suoi prodotti
L’omogeneità di un territorio si nota anche osservando gli aspetti socio-economici. In tutta l’area in apuo-spezzina-lunigianese-versiliese-garfagnina, le fonti di sussistenza sono state fino a metà ottocento la pastorizia, l’agricoltura e lo sfruttamento del bosco (oltre all’estrazione di pietre e minerali, che però ha sempre costituito una fonte di reddito solo per piccole porzioni di popolazione). Se andiamo a vedere alcuni dei prodotti tipici del territorio, rimaniamo impressionati nel notare che ad esempio la varietà di castagne più diffusa in zona (e poco conosciuta nel Tigullio o in Toscana) è la Carpinese, o che la mela Rotella coltivata in Lunigiana e ben presente nello spezzino, nel massese ed in Versilia è la stessa che in Garfagnana e media Valle del Serchio viene chiamata mela Casciana, che la cipolla di Treschietto (Bagnone), quella di Bassone (Pontremoli), quella di Ripola (Licciana), quella di Terceretoli (Mulazzo), quella di Pignona (Sesta Godano), quella di Pignone e quella massese derivano tutte dalla stessa seme originaria, o che le razze ovine autoctone diffuse dal Bracco all’Abetone, ossia la Massese, la Zerasca, la Garfagninae probabilmente la Bianca (diffusa un tempo in alta Val di Vara) siano molto simili fra loro fisicamente, palesando l’appartenenza ad un ceppo comune, allevato nelle nostre montagne da chissà quanti secoli. Inoltre anche la diffusione delle mucche di razza Pontremolese e Garfagnina copriva tutto il territorio da Borgo a Mozzano e Camaiore a Varese Ligure e Pontremoli, lasciando il posto a razze completamente diverse nel Tigullio (Cabannina) e nell’area piasano-lucchese (Mucco Pisano).

Un metodo di cottura particolare: i testi
Molti dei piatti tradizionali della nostra zona hanno la caratteristica di essere cotti in appositi recipienti in terracotta o metallo, chiamati testi. Esistono due tipi base di testi: quelli da focaccette e quelli da pane e torte. Nel primo caso si tratta di dischi di terracotta di circa 10 cm di diametro che presentano sulla faccia superiore un orlo appena accennato. Il loro utilizzo cambia a seconda dell’ingrediente che si vuole cucinare. Per cuocere focaccette di pastella di farina di grano o della pasta lievitata bisogna scaldare i “testelli” sulla fiamma viva finchè non avranno raggiunto il calor bianco, dopodichè si prende un primo testello, vi si versa la pastella e sopra vi si pone un altro testello e così via fino a creare una pila di 10-12 testelli. Una volta cotta la pastella si estrarranno focaccette ottime da essere consumate con salumi e formaggi o, previa breve scottatura in acqua, condite con olio e formaggio, pesto o sughi vari. Le stesse focaccette si ottengono anche con i testi in ferro, muniti di lungo manico che si ungono (con olio tramite una patata o un “ungino” di stoppa, oppure con della cotenna di maiale) e si utilizzano a coppie sempre sopra la fiamma viva e prendono nomi diversi a seconda delle zone: fogaccette, panigazzi, testaroli, testarei, crisciolette, migliacci, necci di grano… Se invece si volesse cuocere della pastella di farina di castagne o delle piccole tortine di verdura, per evitare che questi si attacchino al testo e brucino, è necessario frapporre fra l’ingrediente da cuocere e i testelli incandescenti delle foglie di castagno appositamente raccolte ed essiccate alla fin dell’estate. Questo non è necessario coi testi in ferro perché vengono unti.
I testi da pane invece sono costituiti da due parti: un testo sottano, che in pratica è una grossa teglia con manici laterali e che può anche non essere utilizzata, e il testo soprano, una spece di campana a basso profilo. Un tempo erano fatti di terracotta, ma nel tempo ne sono stati prodotti anche di ghisa.
Per cuocere il pane, la focaccia o le torte (di verdura, di riso, di patate, di farina di castagne) bisognava accendere un bel fuoco che scaldasse il testo soprano appeso alla catena del camino o entrambi i testi nel caso venisse utilizzato anche il sottano, dopodichè si spazzava il piano del camino, si faceva scivolare da un apposito tagliere il pane o la torta precedentemente adagiata su di un letto delle solite foglie di castagno e si copriva il tutto con il testo soprano, il quale veniva ricoperto di braci e cenere in modo che tenesse il calore (se si utilizzava il sottano si appoggiava quest’ultimo sopra a dei bassi alari posti sulle braci e si faceva scivolare al suo interno il pane o la torta adagiati sulle foglie).
La bravura stava nel generare la giusta quantità di calore per non bruciare e allo stesso tempo cuocere il pane o la torta. In questi testi veniva cotta anche la carne (es. l’agnello di Zeri) e i celebri testaroli di Pontremoli, i quali venivano cotti senza bisogno delle foglie di castagno semplicemente versando la pastella sul testo sottano incandescente e ricoprendo brevemente col soprano.

La cucina tradizionale
E’ ormai riconosciuto dagli studiosi di etnografia e tradizioni popolari che l’anima di un popolo si rispecchia anche nella cucina tradizionale, la quale può essere molto illuminante sulla storia delle popolazioni, soprattutto quelle rurali, dove i cambiamenti, in fatto di tradizioni, sono molto rari.
Come molti sanno, la cucina ligure è una cucina molto povera, prevalentemente legata ai frutti della terra (nonostante la vicinanza del mare) e caratterizzata da un consumo molto basso di carne.
Il territorio delle province della Spezia, Massa Carrara e la parte centrale e settentrionale di qulla di Lucca è molto omogeneo anche dal punto di vista delle tradizioni alimentari. In particolare anche nella zona amministrativamente parte della toscana si nota la presenza di piatti tipici della cucina ligure ed allo stesso tempo la totale assenza dei piatti più caratteristici della cucina toscana (ad esempio non fanno asoliutamente parte della tradizione locale di Versilia e Garfagnana piatti come lapanzanella di pane ammollato, la pappa al pomodoro, il pane senza sale o la cacciagione che si trovano solo in ristoranti che preparano piatti non tradizionali). La Piana di Lucca e la costa da Viareggio in giù sono invece più schiettamente toscane anche dal punto di vista gastronomico: qui sì che troviamo la panzanella, il cacciucco ecc. Ma torniamo alla zona apuo-ligure. Abbiamo visto che con i testi in Lunigiana, Val di Vara, Garfagnana, Media Valle e Versilia si cuociono delle specie di focaccette, le quali pur assumendo nomi diversi a seconda delle zone (panigacci, panigazzi, testaroli, testarei, crisciolette, fogaccette, cian di grano, pattone necci di grano…), sono sempre la stessa cosa. Anche per altre preparazioni si può dire lo stesso: la polenta di granturco cotta assieme a cavoli e/o fagioli (intruglia, infarinata, polenta ficca, polenta incatenata, meschia, frascadei, puccia, polenta e coi…), le focaccette di farina di castagne anch’essi cotti nei testi (necci, ciacci, cian, pattone, patune, bollenti, castignà). Si potrebbe continuare a lungo, ma basta ricordare due preparazioni tipiche della Liguria orientale che sono l’emblema anche della cucina lunigianese, garfagnina e versiliese: la prima sono i ravioli, pasta ripiena di carne e verdura tipica del giorno di festa che nella nostra zona sono denominatitordelli (in Versilia e Garfagnana), tordeli o torded’i/ (nelle Apuane settentrionali), tordei (in tutta la valle del Magra), turdei (nella bassa e media Val di Vara), raviei (a Spezia e nelle Cinque Terre), ravië (nell’alta Val di Vara). I nostri ravioli sono un po’ diversi da quelli emiliani e soprattutto completamente diversi da quelli toscani veri e propri (solo nella Piana di Lucca e a Viareggio si trovano i “tordelli” di tipo apuo-ligure, probabilmente a causa dei contatti con Versilia, Garfagnana e Media Valle del Serchio).
Un altro piatto diffusissimo, caratteristico della nostra zona (e sconosciuto in tutta la Toscana a partire da Viareggio e Lucca) sono le torte salate spesso cucinate nei testi e ripiene di verdure o più spesso erbe selvatiche, di cereali (riso, farro, grano…), di patate ecc. Questo piatto in particolare, strettamente legato alle feste patronali e religiose in genere, è diffuso in tutto l’antico territorio occupato da popolazioni di stirpe ligure, dalla Costa Azzurra al Frignano, dalle Alpi Marittime alla Garfagnana-Media Valle del Serchio ed alla Versilia.
Da non dimenticare poi tutti i piatti legati alle castagne ed alla farina dolce e la radicata tradizione di preparare la pasta fresca in casa che anche in questo caso lega maggiormente il territorio garfagnino-versiliese e lunigianese all’Emilia ed alla Liguria che non alla Toscana.

fonte: Dott. Michele Armanini (testo)
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